Parliamo di Noi (Donne)

Noi donne: il ruolo della rivista nel contesto politico e sociale dal 1944 al 1951 

Le origini di Noi donne risalgono al 1936, quando viene pubblicato a Parigi come organo dell’Unione Donne Italiane, associazione che raccoglie le forze femminili dell’emigrazione antifascista italiana in Francia. ( 2)

La testata viene ripresa in Italia a partire dal 1944, quando il periodico esce in vesti diverse. Il primo numero “legale” di Noi donne come organo dell’Unione Donne Italiane è pubblicato a Napoli nel giugno 1944, ma contemporaneamente, fino alla Liberazione, recano il suo nome numerosi fogli clandestini o edizioni locali nelle regioni ancora occupate o appena liberate come organo di informazione dei Gruppi di Difesa della Donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà (GDD). ( 3)

Le diverse edizioni di Noi donne in questa fase sono connotate dunque dalla doppia anima dei GDD e dell’UDI: da un lato la matrice antifascista, democratica, pacifista e improntata alla difesa di libertà e diritti di cittadine e cittadini tipica dei GDD ( 4), dall’altro l’intento di costituire un luogo di confronto e crescita collettiva delle donne senza differenza di età, provenienza sociale e professionale, formazione culturale, orientamento politico, credo religioso, come dichiarato nello Statuto dell’UDI. ( 5)

Dall’ottobre 1945 fino almeno alla fine degli anni ’60, Noi donne rappresenta la voce stampata dell’UDI. ( 6) L’associazione, infatti, fonda la Società Editrice Noi Donne s.r.l. proprietaria e editrice del giornale, sceglie collaboratrici e collaboratori, si occupa della distribuzione. Rispetto ai contenuti, è sempre l’UDI a definirli in base ai propri obiettivi politici, educativi e di aggregazione tra donne. Marisa Ombra afferma che in quegli anni il periodico può considerarsi la “traduzione della politica dell’UDI in un linguaggio giornalistico”. ( 7)

Il Noi donne pubblicato dal 1945 al 1951, le annate di cui ci occupiamo in questo articolo, è un vero e proprio cantiere. Periodicità e veste grafica cambiano a seconda della disponibilità di risorse per impaginare e stampare, così come sono diverse le modalità di diffusione e i contenuti. Il giornale non si vende in edicola e la sua circolazione è garantita da figure inedite in quegli anni: le diffonditrici. Sono donne che ogni settimana prelevano le copie presso i Comitati provinciali dell’UDI, dove arrivano dalla sede centrale di Roma, e le portano di casa in casa assicurando sia la gestione contabile della diffusione, sia la promozione culturale, pedagogica e politica veicolata dal giornale. Questo lavoro, tutto gratuito, è emblematico del ruolo sociale e culturale di Noi donne: la consegna del giornale è occasione per discutere tra donne dei problemi legati a una condizione femminile segnata da discriminazione e da sottomissione (in famiglia, sul lavoro, in politica) e per rendere partecipi le lettrici degli obiettivi di emancipazione portati avanti dall’associazione in quegli anni.

Oltre che strumento per promuovere le rivendicazioni dell’associazione, Noi donne è una finestra sul Paese, sulle sue emergenze politiche ed economiche e sul costume. In un mondo senza televisione, in cui per la maggior parte le donne sono appena alfabetizzate, il periodico è una delle principali fonti di informazione e formazione per le tutte le donne, non necessariamente militanti. Nel 1950 le lettrici ufficialmente risultano 200.000 ( 8), un numero probabilmente inferiore alla realtà in quanto ogni singola copia circola e viene letta da più donne, anche solo all’interno della stessa famiglia.

È una fase particolare e irripetibile nella storia sia del giornale che dell’UDI, e il lavoro di catalogazione e spoglio avviato presso la nostra Biblioteca consente di darne conto in modo puntuale ed efficace.

Il progetto di spoglio di articoli dal 1945 al 1951

Il periodico Noi donne, catalogato nel Servizio Bibliotecario Nazionale, non presentava legami con spogli di articoli. La Biblioteca dell’UDI, per propri fini istituzionali, ha scelto di procedere allo spoglio bibliografico, per valorizzare uno tra i periodici più significativi e diffusi della storia delle donne.

La catalogazione, iniziata nel 2015 e tuttora in corso, prevede lo spoglio di una selezione di articoli – dai quattro ai cinque per ciascun fascicolo – in base alla notorietà degli autori e ai temi di rilievo, più ricorrenti e urgenti, tra il 1945 e il 1951.

Le notizie relative allo spoglio sono condivise con l’Indice nazionale. Il catalogo di Polo e di Indice risultano arricchiti dalla catalogazione descrittiva e dai legami con gli autori e i soggetti secondo il Nuovo soggettario, in uso presso il Polo SBN UFE.

Fin dai primi numeri Noi donne si presenta ben riconoscibile come contenuti e come veste grafica.

Affronta con vigore temi d’attualità, ha un numero di rubriche fisse, è in prima linea in quella che sarà denominata la “battaglia delle idee”.

Una comunità di scrittrici, scrittori, giornaliste e giornalisti – tra le tante firme si ricordano quelle di Baldina Berti, Maria Antonietta Macciocchi, Gabriella Parca, Tommaso Chiaretti, Cate Messina, Gianni Rodari, Luigi Pintor, Renata Viganò, Laura Pintor, Anna Maria Ortese – si mette a disposizione con l’obiettivo di tracciare l’identità individuale e collettiva delle donne, come lavoratrici, madri, cittadine, persone che danno alla vita un senso politico.

I temi più dibattuti, comunicati con toni appassionati, sono tutti quelli del dopoguerra.

Il tema della pace è sviluppato con continuità nella quasi totalità dei fascicoli, con l’UDI in prima linea, attraverso il suo Comitato esecutivo (Rosetta Longo, Ada Alessandrini, Giuliana Nenni ed altre).

I temi urgenti della solidarietà nazionale, della mancanza di lavoro, del lavoro nero o sottopagato, dell’assistenza all’infanzia povera, della scarsità di alloggi salubri, vengono affrontati anche con reportages dai luoghi più remoti e poveri d’Italia. Impegnata sul fronte della solidarietà, l’UDI organizza molteplici iniziative assistenziali, e ne da conto, di raccolta fondi, alimenti, abiti a favore di bambini e donne povere. Nel 1951, ad esempio, articoli segnalano la raccolta pacchi per i bimbi del Delta padano, articoli che fanno seguito ad inchieste sulla loro condizioni drammatiche di vita.

La redazione pone attenzione alle rubriche, che sanno anticipare e coltivare i bisogni di un numero crescente di lettrici, sempre più coinvolte dalle motivate e tenaci “diffonditrici”. Alcuni titoli: Aria di campagna, Visto per voi, La posta di Lucia, Le nostre diffonditrici, Angolo della solidarietà, raccontano della vicinanza di chi scrive a chi legge, con consigli, anche di natura pratica, a tutto campo. Sulla vita domestica, sui consumi culturali, su comportamenti privati e pubblici. Si segnala la rubrica Fermo posta, tenuta da Renata Viganò dal 1951 al 1953.

Una consuetudine iniziata fin dai primi numeri della rivista e sempre confermata, è la grande pagina centrale dedicata alla moda; particolamente curata nelle fotografie, provenienti dall’industria della moda, e nei disegni, offre salutariamente cartamodelli affinchè le lettrici possano realizzare i propri abiti preferiti. Le fotografie di queste pagine ritraggono bambine e bambini, donne comuni e celebri, dando un’immagine di ottimismo, dignità, eleganza. Le modelle indossano abiti ed accessori curati, ispirati ad una moda elegante e sobria, pratica e femminile.

La diffusione capillare della cultura è un fermo obiettivo di Noi donne. Sfogliamo pagine dedicate a recensioni cinematografiche e letterarie, a brevi novelle, a romanzi a puntate ( La madre, di Maksim Gor’kij), a film a puntate ( Non c’è pace tra gli ulivi, di Giuseppe De Santis), a fiabe e racconti per bambini.

Il cinema ha una rubrica fissa a firma del critico Lorenzo Quaglietti: le recensioni, sempre valorizzate da un efficace corredo fotografico, narrano e sostengono con passione ideologica le cinematografie del blocco sovietico, dell’est comunista e del cinema italiano d’impegno, in contrasto con il cinema occidentale, statunitense in particolare, criticato perchè identificato con disvalori come il divismo, la pornografia, l’evasione dai problemi della società reale.

Noi donne è una rivista di parole e immagini che si legge con piacere, anche grazie ad un progetto grafico articolato. Il risultato è un’ impaginazione varia, non uniforme. Diverse sono le tecniche grafiche utilizzate, al servizio del racconto del mondo femminile. Una molteplicità di caratteri tipografici sono scelti per i titoli. Solitamente, i font enfatizzano i contenuti. Per esempio, l’articolo Un anno uguale ad un secolo -reportage fotografico sulla Cina del 1950- ha efficaci caratteri che imitano gli ideogrammi cinesi.

Accompagnano il testo sia disegni e vignette, sia fotografie; queste ultime, sono di provenienze varie: dai servizi fotografici dell’URSS e dai Paesi comunisti, alle fotografie di famiglia recuperate per servizi giornalistici, alle fotografie di scena effettuate durante la lavorazione di film, che in Noi donne divengono veri e propri fotoromanzi, ai ritratti fotografici glamour di attrici, alle fotografie di cronaca politica.

L’operazione di spogli bibliografici avviata dalla Biblioteca ha giovato alla conoscenza della rivista, che, già accessibile all’interno dell’UDI per studi sulla storia delle donne, viene ora consultata, oltre che per ricerche storiche, da studenti universitari e nell’ambito di progetti con le scuole; inoltre, gli articoli vengono richiesti da altre biblioteche e da privati. Si segnala, come esempio, un laboratorio, sviluppato con le scuole superiori, che ha previsto l’analisi delle copertine di Noi donne, per illustrare il percorso di acquisizione die diritti di parità di genere.

Il proseguimento dell’attività di spoglio bibliografico dal 1952 in avanti è solo il primo, importante obiettivo che la Biblioteca si è data. La necessità conservativa e di tutela dei fascicoli, la cui carta è fragile particolarmente nei primi 15 anni di pubblicazione, impone alla Biblioteca la programmazione di un intervento di digitalizzazione che potrà essere affrontato principalmente attraverso un progetto condiviso con l’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna.

Micaela Gavioli, Valeria Gilli

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